A lungo spacciati per oli leggeri e amici del cuore dal marketing di certa industria alimentare, gli oli di semi sono presenti in tutte le dispense e impiegati sempre più non solo per friggere ma anche per arricchire insalate e pietanze varie.
Vuoi per la pubblicità, vuoi per il loro basso costo, vengono sempre più preferiti all’olio extravergine di oliva.
In questo articolo faremo chiarezza sulla loro reale salubrità.
Ecco l’indice dell’articolo:
- Cosa sono gli oli di semi?
- Omega- 3 e Omega- 6, l’equilibrio perduto
- Olio di colza: dall’officina alla tavola
- Olio di soia, mina vagante per la nostra salute
- Olio di mais, il re degli OGM
- Olio di arachidi, problematico anche lui
- Oli idrogenati, i grassi più dannosi
- Olio alto oleico, la nuova veste degli oli per la frittura
- Questione di punto di fumo
Cosa sono gli oli di semi?
Gli oli di semi sono grassi polinsaturi, denominati PUFA (dall’inglese Polyunsaturated Fatty Acids) e il loro aspetto, se disegni una molecola su un foglio, è quello di un lungo millepiedi con il corpo composto da catene di carbonio che hanno perso atomi di idrogeno e per questo sono molto sensibili allo stress ossidativo.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che sono molto molto delicati e che tutti questi doppi legami fanno sì che quando vengono a contatto con l’aria, il calore e la luce, si ossidino già in fase di produzione.
Sono molto instabili e possono danneggiare il corpo rendendo le nostre membrane cellulari più sensibili all’ossidazione e quindi all’invecchiamento.
Sono dunque molto fragili e possono essere facilmente degradati fino a formare composti dannosi.
Visto che questi grassi polinsaturi possono facilmente irrancidire a temperatura ambiente, è molto probabile che gran parte degli oli di semi presenti sul mercato siano già danneggiati, prima ancora che li consumiamo.
D’altronde il nostro corpo è costituito per il 90-95% da grassi saturi e monoinsaturi e solo il 5-10% è costituito dai polinsaturi…un dato che ci dovrebbe far riflettere.
Omega-3 e Omega-6, l’equilibrio perduto
Oltre ad essere suscettibili all’ossidazione, l’altro problema legato alla maggior parte di questi oli è che contengono molti Omega- 6 (acidi grassi polinsaturi).
Gli Omega- 3 e gli Omega- 6 sono i cosiddetti acidi grassi essenziali, cioè acidi grassi che dobbiamo introdurre attraverso la dieta perché il corpo non è in grado di produrli.
Nel corso dell’evoluzione abbiamo introdotto Omega- 3 e Omega- 6 in un certo rapporto, ma nell’ultimo secolo questo rapporto si è spostato drasticamente a favore degli Omega- 6, fino ad arrivare a 16:1.
Quando succede questo, gli acidi grassi Omega- 6 in eccesso si accumulano nelle nostre membrane cellulari e contribuiscono a creare infiammazione, una delle cause principali di alcune delle più diffuse malattie occidentali.
Un eccesso di grassi Omega-6, di cui sono ricchi gli olii vegetali, aumenta infatti in modo significativo il rischio di malattie cardiache, cancro, Alzheimer, diabete, artrite reumatoide e molte altre malattie.
Il più delle volte non siamo nemmeno consapevoli di uno squilibrio così marcato perché, anche se non li usiamo in cucina, gli oli di origine vegetale sono infiltrati ovunque, anche nelle barrette energetiche che acquistiamo nel negozio biologico e crediamo ci facciano tanto bene.
Conosciamo meglio alcuni tipi di oli vegetali così che tu possa riconoscerli quando leggi le etichette.
Olio di colza: dall’officina alla tavola
L’olio di colza per uso alimentare è un’invenzione tutta canadese e appare sul mercato negli anni ’70.
Viene ricavato dai semi dell’omonima pianta, appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, la stessa della senape.
Prima di giungere sulle nostre tavole, l’olio di colza, conosciuto anche con il nome di olio di canola, era impiegato come lubrificante ed è stato utilizzato come tale, per esempio, in America durante la seconda guerra mondiale.
Veniva impiegato anche nella produzione di candele, saponi, rossetti, inchiostri, biocarburanti e persino insetticidi.
Quando scoppiò la guerra ai grassi saturi, l’industria alimentare iniziò a cercare alternative e, dato il vantaggioso prezzo dell’olio di colza, il suo alto contenuto di Omega-3 e il ridotto contenuto di grassi saturi, iniziarono a pensare a come utilizzarlo.
C’era però un problema: a quel tempo l’olio si ricavava direttamente dalla pianta di colza selvatica e conteneva grandi quantità di acido erucico, noto per causare problemi di salute come malattie cardiache, in particolare la malattia di Keshan, una malattia caratterizzata da lesioni fibrotiche del cuore.
Si iniziò a coltivarla e si scoprì che, se ricavato dalla frantumazione dei semi, il contenuto di acido erucico nell’olio era nettamente inferiore.
Sono certa che, anche se in quantità ridotte, nessuno di noi vorrebbe avere in circolo nel proprio corpo, un grasso di questo tipo.
Nel 1995 la Monsanto creò una versione geneticamente modificata dell’olio di canola e nel 1998, attraverso ulteriori manipolazioni genetiche, fu messa a punto la varietà di colza più resistente alle malattie e alla siccità.
In conclusione, dal 2005, l’87% della colza coltivata negli Stati Uniti è geneticamente modificata.
Manipolazione dopo manipolazione, l’olio di colza, da lubrificante che era, fu reso commestibile e impiegato nell’industria alimentare.
Come si produce l’olio di colza
Il processo di produzione dell’olio di colza è inoltre del tutto innaturale.
L’olio viene estratto dai semi attraverso un procedimento di raffinazione, decolorazione e sgrassatura, processi che prevedono alte temperature e l’uso di solventi chimici, come l’esano.
L’esano è anche usato come sgrassatore nel settore della stampa ed è la stessa sostanza chimica aggressiva utilizzata come solvente per colle, vernici e inchiostri.
Infine l’olio di colza deve essere deodorato, dato che gli acidi grassi Omega-3 che contiene, a contatto con l’ossigeno e le alte temperature, irrancidiscono ed emanano un cattivo odore.
Come risultato di questi processi, gran parte degli acidi grassi Omega-3 vengono convertiti in acidi grassi trans.
È a questo punto che l’olio di colza diventa pericoloso per la nostra salute, aumentando la formazione di radicali liberi che, a loro volta, se in eccesso, favoriscono infiammazione e danni ossidativi alle cellule.
In ultimo, l’olio di colza, come molti altri oli vegetali, oltre che essere un olio raffinato, è spesso idrogenato, un processo chimico che viene utilizzato per trasformare gli oli liquidi in solidi a temperatura ambiente.
Più o meno la stessa sorte accomuna la trasformazione degli altri oli di semi per il semplice motivo che questi, a differenza dell’olio di oliva, non sono mai commestibili dopo l’estrazione e lo diventano solo con il trattamento di rettifica o raffinazione più o meno spinti non senza l’uso di solventi chimici per rendere il prodotto dal punto di vista organolettico, accettabile.
Olio di soia, mina vagante per la nostra salute
Oltre ad essere un allergene comune, come l’olio di colza, il 90% del raccolto di soia americano proviene da semi OGM.
L’olio viene prodotto estraendolo dalla soia usando, anche qui, il solvente chimico esano.
Gli acidi grassi contenuti nell’olio di semi di soia sono per lo più grassi polinsaturi Omega-6 che, se in eccesso, lo abbiamo visto, possono causare infiammazioni in tutto il corpo.
Abbiamo già parlato diffusamente della soia nel nostro blog e se ti interessa approfondire l’argomento, leggi questo articolo.
Voglio solo ricordare i numerosi problemi di salute legati al suo consumo eccessivo tra cui: ridotta funzionalità tiroidea, malattie cardiache, aumento del rischio di cancro, difficoltà nel digerire le proteine, debolezza digestiva.
Olio di mais, il re degli OGM
Il mais, come le altre fonti di oli vegetali, proviene quasi sempre da piante coltivate da semi OGM, una diavoleria che lo ha depredato di metà del suo originario e prezioso contenuto di Omega-3.
Oggi ha solo il 4% degli acidi grassi Omega-3 ed il 60% di acidi grassi Omega-6.
Ma questo non è il problema più grande.
Una ricerca pubblicata nel “British Journal of Cancer” nel 2010, dimostra che l’acido arachidonico, che viene convertito dall’acido linoleico, promuove il cancro alla prostata e favorisce lo sviluppo del cancro alle ossa.
Olio di colza, mais e soia sono gli oli vegetali più utilizzati, ma la maggior parte degli altri oli sono altrettanto malsani.
Olio di arachidi, problematico anche lui
Molto usato nelle fritture per il suo alto punto di fumo, l’olio di arachidi ha però anch’esso controindicazioni.
L’olio può essere estratto dai semi per pressione o più comunemente attraverso solventi chimici e vari processi cosiddetti di rettifica più o meno spinti, per conferire al prodotto caratteristiche organolettiche accettabili.
Non dimentichiamo che, se l’olio è meno raffinato e premuto a freddo, può contenere residui di proteine, che possono scatenare reazioni allergiche nelle persone sensibili.
Oli idrogenati, i grassi più dannosi
I grassi idrogenati, vanto dell’industria alimentare, sono una mina vagante per la nostra salute.
Sono la categoria di grassi in assoluto più dannosa.
Sono di origine vegetale, derivati da semi di girasole, di palma, di soia, di mais che, per essere maggiormente maneggiabili dall’industria, sono resi solidi e sottoposti ad elevate temperature attraverso il processo chimico-fisico dell’idrogenazione.
L’olio vegetale idrogenato è spesso preferito dai produttori per la sua maggiore conservabilità, consistenza e stabilità del sapore, per questo molto usato nella cucina tradizionale.
Sono detti e conosciuti anche come grassi trans e li trovi sugli scaffali dei supermercati con la dicitura “olio di semi vari”.
Si trovano in patatine, bibite gassate, pop corn, dadi da brodo, snack, dolci industriali, merendine, prodotti del fast food.
Si formano anche da qualsiasi olio sano sottoposto ad eccessivo calore come durante la frittura o da oli esposti all’aria e alla luce che irrancidiscono velocemente, alterando la loro struttura molecolare e diventando tossici.
Sono così innaturali e dannosi che il nostro organismo non li sopporta e non li riconosce, o meglio, li identifica come estremamente nocivi.
E sono responsabili di una serie di malefatte all’interno del nostro corpo:
- sono dannosissimi per il fegato
- sono micidiali per il livello di trigliceridi e colesterolo nel sangue, aumentando pericolosamente la quantità di quello ossidato
- intervengono sulla sensibilità insulinica
- influiscono negativamente sul trasporto dei grassi nel sangue
- ostacolano il corretto funzionamento delle cellule
- aumentano in modo esponenziale i marcatori dell’infiammazione
La bella notizia è che nel 2018 l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha lanciato un piano affinché se ne vieti il consumo in tutto il mondo entro il 2023.
Olio alto oleico, la nuova veste degli oli per la frittura
Ti sarai accorto, nel fare la spesa, che una nuova dicitura è comparsa sugli oli pronti per la frittura: “alto oleico”.
Di cosa si tratta?
L’acido oleico è un acido grasso monoinsaturo e quindi stabile, non soggetto ad ossidazione di cui l’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha permesso l’impiego con l’indicazione che contribuisce al mantenimento di livelli di colesterolo nella norma.
L’industria alimentare sta quindi immettendo sul mercato oli di semi addizionati di con acido oleico per renderli più salutari.
Va detto che l’acido oleico è tipico dell’olio di oliva, dove lo troviamo in percentuali variabili tra il 60 e l’80%, soprattutto nella forma esterificata dei trigliceridi, cioè legato a molecole di glicerolo.
È presente all’interno dell’olio di oliva, anche in forma libera, ovvero separata dal glicerolo.
Questo avviene quando, le condizioni delle olive, la lavorazione o la conservazione degli oli non sono state ottimali.
Questione di punto di fumo
Il punto di fumo, è una caratteristica fondamentale da prendere in considerazione e conoscere quando acquisti un olio, un grasso destinato alla cottura e in special modo alla frittura.
È la temperatura alla quale, superato un certo limite, le molecole dei grassi si degradano liberando sostanze tossiche e cancerogene per l’organismo.
Dunque, più alto è il punto di fumo di un olio, meglio è.
Per friggere è necessario che l’olio raggiunga una temperatura di circa 180°.
Vediamo di seguito il punto di fumo degli oli più comuni:
- Olio di girasole: 130°
- Olio di soia: 130°
- Olio di mais: 160°
- Olio di arachidi: 180°
- Olio di oliva extravergine: 180°
- Olio di palma: 240°
- Olio di riso (molto usato in Asia): 254°
- Olio di avocado: 270°
Ricorda che riutilizzare più volte un olio per friggere comporta l’abbassamento del punto di fumo e facilita la formazione di sostanze nocive anche per contaminazione.
Decisamente più salutari altri tipi di oli e grassi dal punto di fumo elevato che puoi impiegare anche nelle fritture: olio di cocco con 234° di punto di fumo e ghi con 250°.
Questi sono grassi 100% naturali, non manipolati industrialmente.
Conclusione
Indipendentemente dal punto di fumo, usare in cucina oli di semi vari non è una scelta salutare.
Pur essendo di derivazione vegetale, non hanno più nulla di naturale.
Il loro processo di estrazione è totalmente chimico, le loro proprietà nutrizionali modificate, gli Omega-3 distrutti.
Prendono il loro posto acidi grassi idrogenati, un carico eccessivo di Omega 6, con il risultato di avere in tavola un alimento fortemente sbilanciato e potenzialmente dannoso per il nostro organismo.
Olio extravergine di oliva premuto a freddo, olio di cocco e ghi, sono i tre principali oli che da sempre consigliamo nel SAUTÓN Approach.
Insegniamo il modo giusto di consumarli: come, dove, quando e soprattutto quanti, nell’Online Program.
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