La maggior parte delle persone ha le idee molto confuse quando si parla di grassi nella dieta.
O ne hanno paura e li evitano come la peste oppure pensano che i grassi siano tutti uguali e che usare l’olio di oliva, gli oli di semi o il burro non faccia alcuna differenza.
In realtà i diversi grassi hanno un impatto differente sull’organismo e in questo articolo ci concentreremo in modo particolare su quali grassi fanno male e perché è bene che non siano presenti sulla tua tavola ogni giorno.
Ecco l’indice dell’articolo:
- Tre tipi di grassi
- Gli oli di semi fanno male?
- Storia di una grande bugia
- Oli idrogenati, i grassi più dannosi
- Cosa evitare e come sostituire gli oli vegetali
- Come riconoscere un grasso sano?
- Quali sono i grassi sani?
Tre tipi di grassi
Partiamo dal dire che esistono tre tipi di grassi: saturi, monoinsaturi e polinsaturi.
In cosa si distinguono?
Ciò che li distingue è il numero di atomi di idrogeno che si accompagna alla molecola di carbonio che è presente in tutti e tre i tipi.
Se hanno due atomi di idrogeno per ogni atomo di carbonio sono detti grassi saturi.
Se hanno un atomo di idrogeno per ogni atomo di carbonio sono detti grassi monoinsaturi.
Infine, se sono privi di atomi di idrogeno sono detti grassi polinsaturi.
Tutte le fonti naturali di grassi contengono una miscela dei tre ma in percentuale variabile.
Quanti grassi ci sono nel nostro corpo?
Il nostro corpo è costituito per il 90-95% da grassi saturi e monoinsaturi e solo il 5-10% è costituito dai polinsaturi.
Questi ultimi non possono essere prodotti dal nostro corpo, devono essere assunti con il cibo, e in genere gli alimenti che mangiamo ne contengono piccole quantità, assolutamente sufficienti al nostro fabbisogno.
Nell’alimentazione tradizionale, solo una minuscola parte del cibo assunto conteneva grassi polinsaturi, mentre nella maggior parte erano presenti grassi saturi e monoinsaturi più stabili che controbilanciavano i polinsaturi più inclini allo stress ossidativo.
Gli oli di semi fanno male?
Gli oli di semi sono grassi polinsaturi, denominati PUFA (dall’inglese Polyunsaturated Fatty Acids) e il loro aspetto, se disegni una molecola su un foglio, è quello di un lungo millepiedi con il corpo composto da catene di carbonio che hanno perso atomi di idrogeno e per questo sono molto sensibili allo stress ossidativo.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che sono molto molto delicati e che tutti questi doppi legami fanno sì che quando vengono a contatto con l’aria, il calore e la luce si ossidino già in fase di produzione.
Sono molto instabili e possono danneggiare il corpo rendendo le nostre membrane cellulari più sensibili all’ossidazione e quindi all’invecchiamento.
Sono dunque molto fragili e possono essere facilmente degradati fino a formare composti dannosi.
Visto che questi grassi polinsaturi possono facilmente irrancidire a temperatura ambiente è molto probabile che gran parte degli oli di semi presenti sul mercato siano già danneggiati, prima ancora che li consumiamo.
Omega- 3 e Omega- 6, l’equilibrio perduto
Oltre ad essere suscettibili all’ossidazione, l’altro problema legato alla maggior parte di questi oli è che contengono molti Omega- 6 (acidi grassi polinsaturi).
Gli Omega- 3 e gli Omega- 6 sono i cosiddetti acidi grassi essenziali, cioè acidi grassi che dobbiamo introdurre attraverso la dieta perché il corpo non è in grado di produrli.
Nel corso dell’evoluzione abbiamo introdotto Omega- 3 e Omega- 6 in un certo rapporto, ma nell’ultimo secolo questo rapporto si è spostato drasticamente a favore degli Omega- 6, fino ad arrivare a 16:1.
Quando succede questo, gli acidi grassi Omega- 6 in eccesso si accumulano nelle nostre membrane cellulari e contribuiscono a creare infiammazione.
L’infiammazione è una delle cause principali di alcune delle più diffuse malattie occidentali come malattie cardiovascolari, cancro, diabete, artrite e molte molte altre.
Un eccesso di grassi Omega-6, di cui sono ricchi gli olii vegetali, aumenta infatti in modo significativo il rischio di malattie cardiache, cancro, Alzheimer, diabete, artrite reumatoide e molte altre malattie.
Il più delle volte non siamo nemmeno consapevoli di uno squilibrio così marcato perché, anche se non li usiamo in cucina, gli oli di origine vegetale sono infiltrati ovunque, anche nelle barrette energetiche che acquistiamo nel negozio biologico e crediamo ci facciano tanto bene.
Perché allora nel secolo scorso il consumo di oli di semi industriali è aumentato a scapito di altri grassi sani come il burro?
Perché siamo stati indotti a credere che oli di semi come olio di semi di cotone, di mais, di soia “facciano bene al cuore” e i governi di tutto il mondo ci hanno incoraggiati a mangiarne di più?
Storia di una grande bugia
Tutto è iniziato attorno alla metà del 1800, dal non sapere come utilizzare il materiale di scarto proveniente dalla lavorazione del cotone, in particolar modo i semi.
Olio di semi di cotone: da combustibile a sostituto del burro
Imprenditori ingegnosi provarono a spremere i semi di cotone ricavandone dell’olio che scoprirono essere molto adatto per l’illuminazione.
Poco dopo, con l’avvento del petrolio, la domanda di quell’olio subì un drastico calo e l’industria cotoniera si ritrovò i magazzini nuovamente colmi di olio di semi.
Per smaltire le scorte, si pensò bene di aggiungerlo ai grassi, allo strutto e all’olio extravergine di oliva grazie al suo sapore delicato e al colore giallognolo.
Alcune società americane lo utilizzarono inizialmente per produrre sapone e candele, ma poi scoprirono che, idrogenandolo, un processo chimico di cui parleremo più avanti, si trasformava in un grasso solido che non irrancidiva facilmente, molto versatile in cucina e quindi molto apprezzato.
Gli fu dato il nome di Crisco e, grazie ad un’abile azione di marketing, l’olio di semi di cotone, da combustibile per le lanterne, si trasformò in un grasso economico, spacciato per salutare e presente in ogni casa degli Stati Uniti.
Stessa sorte toccò all’olio di colza presente tutt’oggi in molti prodotti dell’industria dolciaria.
L’olio di colza: dall’officina alla tavola
L’olio di colza per uso alimentare è un’invenzione tutta canadese e appare sul mercato negli anni ’70.
Viene ricavato dai semi dell’omonima pianta, appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, la stessa della senape.
Prima di giungere sulle nostre tavole, l’olio di colza, conosciuto anche con il nome di olio di canola, era impiegato come lubrificante ed è stato utilizzato come tale, per esempio, in America durante la seconda guerra mondiale.
Veniva impiegato anche nella produzione di candele, saponi, rossetti, inchiostri, biocarburanti e persino insetticidi.
Quando scoppiò la guerra ai grassi saturi, l’industria alimentare iniziò a cercare alternative e, dato il vantaggioso prezzo dell’olio di colza, il suo alto contenuto di Omega-3 e il ridotto contenuto di grassi saturi, iniziarono a pensare a come utilizzarlo.
C’era però un problema: a quel tempo l’olio si ricavava direttamente dalla pianta di colza selvatica e conteneva grandi quantità di acido erucico, noto per causare problemi di salute come malattie cardiache, in particolare la malattia di Keshan, una malattia caratterizzata da lesioni fibrotiche del cuore.
Si iniziò a coltivarla e si scoprì che, se ricavato dalla frantumazione dei semi, il contenuto di acido erucico nell’olio era nettamente inferiore.
Sono certa che, anche se in quantità ridotte, nessuno di noi vorrebbe avere in circolo nel proprio corpo, un grasso di questo tipo.
Nel 1995 la Monsanto creò una versione geneticamente modificata dell’olio di canola e nel 1998, attraverso ulteriori manipolazioni genetiche, fu messa a punto la varietà di colza più resistente alle malattie e alla siccità.
In conclusione, dal 2005, l’87% della colza coltivata negli Stati Uniti è geneticamente modificata.
Manipolazione dopo manipolazione, l’olio di colza, da lubrificante che era, fu reso commestibile e impiegato nell’industria alimentare.
Come si produce l’olio di colza
Il processo di produzione dell’olio di colza è inoltre del tutto innaturale.
L’olio viene estratto dai semi attraverso un procedimento di raffinazione, decolorazione e sgrassatura.
Processi che prevedono alte temperature e l’uso di solventi chimici, come l’esano.
L’esano è anche usato come sgrassatore nel settore della stampa ed è la stessa sostanza chimica aggressiva utilizzata come solvente per colle, vernici e inchiostri.
Infine l’olio di colza deve essere deodorato, dato che gli acidi grassi Omega-3 che contiene, a contatto con l’ossigeno e le alte temperature, irrancidiscono ed emanano un cattivo odore.
Come risultato di questi processi, gran parte degli acidi grassi Omega-3 vengono convertiti in acidi grassi trans.
È a questo punto che l’olio di colza diventa pericoloso per la nostra salute, aumentando la formazione di radicali liberi che, a loro volta, se in eccesso, favoriscono infiammazione e danni ossidativi alle cellule.
In ultimo, l’olio di colza, come molti altri oli vegetali, oltre che essere un olio raffinato, è spesso idrogenato, un processo chimico che viene utilizzato per trasformare gli oli liquidi in solidi a temperatura ambiente.
L’olio di soia, mina vagante per la nostra salute
Oltre ad essere un allergene comune, come l’olio di colza, il 90% del raccolto di soia americano proviene da semi OGM.
L’olio viene prodotto estraendolo dalla soia usando, anche qui, il solvente chimico esano.
Gli acidi grassi contenuti nell’olio di semi di soia sono per lo più grassi polinsaturi Omega-6 che, se in eccesso, lo abbiamo visto, possono causare infiammazioni in tutto il corpo.
Abbiamo già parlato diffusamente della soia nel nostro blog e se ti interessa approfondire l’argomento, leggi questo articolo.
Voglio solo ricordare i numerosi problemi di salute legati al suo consumo eccessivo tra cui: ridotta funzionalità tiroidea, malattie cardiache, aumento del rischio di cancro, difficoltà nel digerire le proteine, debolezza digestiva.
Ma l’Asia non è una grande consumatrice di soia?
Alcuni sostenitori della soia sottolineano che gli asiatici mangiano prodotti di soia da 5000 anni senza alcun danno.
Tuttavia, non sanno o non sottolineano mai abbastanza che gli asiatici mangiano prodotti a base di soia fermentata mentre l’olio di soia che consumiamo non solo non è fermentato, ma ha l’aggravante di essere trattato chimicamente.
L’olio di mais, il re degli OGM
Il mais, come le altre fonti di oli vegetali, proviene quasi sempre da piante coltivate da semi OGM, una diavoleria che lo ha depredato di metà del suo originario e prezioso contenuto di Omega-3.
Oggi ha solo il 4% degli acidi grassi Omega-3 ed il 60% di acidi grassi Omega-6.
Ma questo non è il problema più grande.
Una ricerca pubblicata nel “British Journal of Cancer” nel 2010, dimostra che l’acido arachidonico, che viene convertito dall’acido linoleico, promuove il cancro alla prostata e favorisce lo sviluppo del cancro alle ossa.
Olio di colza, mais e soia sono gli oli vegetali più utilizzati, ma la maggior parte degli altri oli sono altrettanto malsani.
Oli idrogenati, i grassi più dannosi
I grassi idrogenati, vanto dell’industria alimentare, sono una mina vagante per la nostra salute.
Sono la categoria di grassi in assoluto più dannosa.
Sono di origine vegetale, derivati da semi di girasole, di palma, di soia, di mais che, per essere maggiormente maneggiabili dall’industria, sono resi solidi e sottoposti ad elevate temperature attraverso il processo chimico-fisico dell’idrogenazione.
L’olio vegetale idrogenato è spesso preferito dai produttori per la sua maggiore conservabilità, consistenza e stabilità del sapore, per questo molto usati nella cucina tradizionale.
Sono detti e conosciuti anche come grassi trans e li trovi sugli scaffali dei supermercati con la dicitura “olio di semi vari”.
Si trovano in patatine, bibite gassate, pop corn, dadi da brodo, snack, dolci industriali, merendine, prodotti del fast food.
Si formano anche da qualsiasi olio sano sottoposto ad eccessivo calore come durante la frittura o da oli esposti all’aria e alla luce che irrancidiscono velocemente, alterando la loro struttura molecolare e diventando tossici.
Sono così innaturali e dannosi che il nostro organismo non li sopporta e non li riconosce, o meglio, li identifica come estremamente nocivi.
E sono responsabili di una serie di malefatte all’interno del nostro corpo:
- sono dannosissimi per il fegato
- sono micidiali per il livello di trigliceridi e colesterolo nel sangue, aumentando pericolosamente la quantità di quello ossidato
- intervengono sulla sensibilità insulinica
- influiscono negativamente sul trasporto dei grassi nel sangue
- ostacolano il corretto funzionamento delle cellule
- aumentano in modo esponenziale i marcatori dell’infiammazione
La bella notizia è che nel 2018 l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha lanciato un piano affinché se ne vieti il consumo in tutto il mondo entro il 2023.
Cosa evitare e come sostituire gli oli vegetali
Innanzitutto è importante sapere che non tutti gli oli vegetali sono nocivi.
Ad esempio l’olio di cocco e l’olio di oliva sono entrambi eccellenti.
Gli oli vegetali che dovresti evitare a causa dell’alto contenuto di Omega 6 sono Olio di:
- soia
- canola
- mais
- cartamo
- semi di cotone
- girasole
- arachidi
- sesamo
- crusca di riso
Evita anche tutte le margarine e tutti i falsi “burri light”.
Come riconoscere un grasso sano?
Riconoscere un grasso sano è più facile di quanto sembra e non serve avere il microscopio a portata di mano, bensì ricordarsi che i grassi sani sono sempre quelli di origine naturale.
Più un grasso lo si trova in natura, più è garanzia di salubrità (vedi l’olio di cocco o l’olio di oliva).
Più un grasso è artificiale, lavorato e manipolato, più è dannoso (vedi gli oli idrogenati industriali ricchi di Omega-6).
Quali sono i grassi sani?
Sui grassi sani trovi un’intera guida qui , è uno dei nostri cavalli di battaglia.
Qui te li ricordo brevemente.
È bene consumare:
- olio extravergine di oliva
- alimenti che contengono Omega-3 a catena lunga (come EPA e DHA) contenuti nel pesce e negli integratori di olio di pesce
- acidi grassi Omega-3 (come ALA) contenuto nei semi di chia e di lino
- grassi animali come burro, formaggio, ghi, purché provenienti da animali allevati al pascolo
- acidi grassi a catena media (MCFA) come l’olio di cocco e l’olio MCT
Conclusione
Usare in cucina oli di semi vari non è una scelta salutare.
Pur essendo di derivazione vegetale, non hanno più nulla di naturale.
Il loro processo di estrazione è totalmente chimico, le loro proprietà nutrizionali modificate, gli Omega-3 distrutti.
Prendono il loro posto acidi grassi idrogenati, un carico eccessivo di Omega 6, con il risultato di avere in tavola un alimento fortemente sbilanciato e potenzialmente dannoso per il nostro organismo.
Olio extravergine di oliva premuto a freddo, olio di cocco e ghi, sono i tre principali oli che da sempre consigliamo nel SAUTÓN Approach.
Insegniamo il modo giusto di consumarli: come, dove, quando e soprattutto quanti, nel nuovo Online Program.
Puoi scaricare un menu giornaliero gratuito con ricette sane e gustose che impiegano anche i meravigliosi grassi sani, cliccando qui.
Fonti:
Dr. Jason Fung Phd “Il codice della longevità” – Sangiovannis Editore
Leggi anche:
Marco 16 Marzo 2021
Ciao, recentemente ho letto un articolo riguardo all’olio di cocco che dopo un’approfondita analisi ne esce come grasso che occlude le arterie: https://www.manuelcasadei.com/olio-di-cocco/
Onestamente non so come valutare questo articolo, alla fine l’olio di cocco fa bene o fa male?
Maria Pia Festini 16 Marzo 2021
Ciao Marco,
se desideri farti un’opinione seria sull’olio di cocco di consiglio la lettura di questo libro scritto dal massimo esperto in materia. Un caro salutohttps://www.amazon.it/eccezionali-propriet%C3%A0-curative-della-cocco/dp/8893191288
Lorena 16 Marzo 2021
Ciao Francesca, come conciliare il digiuno intermittente con lo sport tipo ciclismo?
Maria Pia Festini 18 Marzo 2021
Ciao Lorena,
Francesca ne parla in questa guida. Un saluto
https://www.thesautonapproach.it/dieta-chetogenica-e-sport/