Nella spiritualità c’è un grande taboo: i desideri.
Spesso vengono visti come qualcosa di impuro e di ostacolo nel percorso spirituale, perché distraggono la mente e ci incatenano alle cose materiali della nostra vita.
Per questo la maggior parte dei ricercatori spirituali cerca di evitarli come la peste, impegnandosi a distaccarsi dalle cose della sua vita.
Questo è il mito della rinuncia, che in realtà è solo una grande bufala.
E adesso ti spiego perché, indagando cosa dicono le principali tradizioni al riguardo e cosa è l’autentica Realizzazione spirituale.
La rinuncia nella tradizione Vedica
Il mito della rinuncia nella spiritualità proviene prevalentemente da tre tradizioni diverse: la tradizione Vedica indiana, il Buddhismo e il Cristianesimo.
Iniziamo dalla Tradizione Vedica indiana, in cui si divideva il percorso di vita di una persona in 4 fasi principali.
La prima era Brahmachari (il giovane studente che si dedicava solo all’apprendimento), la seconda era Grihastha (l’adulto che lavora e si prende cura di una famiglia), la terza era il Vanaprastha (il nonno che poteva andare in pensione e dedicarsi maggiormente alla pratica spirituale), la quarta e ultima era il Sannyasi (il praticante ascetico che rinuncia a tutto per dedicarsi solo alla ricerca spirituale e vive di elemosina).
Secondo i veda, la rinuncia era prevista solamente in due di queste fasi: la prima fase della vita (ovvero quando il giovane doveva dedicarsi solo a studiare e praticare) e l’ultima fase della vita (ovvero quando l’anziano si ritira per essere un praticante ascetico).
Nelle restanti fasi (che sono la maggior parte della vita di una persona), i desideri avevano un ruolo attivo e importante per aiutare la persona a vivere con passione, realizzare il suo scopo di vita ed essere di beneficio agli altri.
Per questo i Veda consigliavano di fare la pace con i desideri e non di rinunciare completamente ai piaceri della vita, che poteva essere controproducente per fare la propria parte nella società.
Questo era ciò che dicevano i Veda, però ovviamente la loro interpretazione è mutata molto nel tempo, sulla base della sensibilità di ogni epoca storica.
Nei secoli si svilupparono prevalentemente tre correnti di pensiero diverse su questo argomento:
- La prima corrente di pensiero era quella dei Brahmini, ovvero i sacerdoti dei templi, che spingevano i propri discepoli a rinunciare alle tentazioni della vita terrena e praticare una vita sattvica (che significa praticare la purezza), imparando a discernere tra puro e impuro
- La seconda corrente di pensiero era quella dei praticanti ascetici della zona himalayana, che erano ancora più estremi al riguardo e decidevano di rinunciare a tutto (a prescindere se fosse puro o impuro), per dedicarsi solo alla pratica austerica in isolamento e cercare l’Illuminazione spirituale
- La terza corrente di pensiero era quella tantrica (o detta anche della mano sinistra), che si ribellava alla classificazione di puro e impuro della casta sacerdotale, affermando che ogni cosa nella vita era espressione di Dio e di conseguenza era intrinsecamente pura. Quindi per loro anche i desideri potevano essere integrati nel percorso spirituale.
Queste tre correnti di pensiero hanno influenzato completamente la spiritualità orientale, definendo il ruolo dei desideri nella ricerca spirituale.
La corrente che si è diffusa più di ogni altra ovviamente è la prima (quella della casta sacerdotale), perché era quella più ricca e strutturata, in grado di impattare maggiormente la società.
Inoltre era anche l’unico gruppo di persone in grado di scrivere, mentre gli altri due gruppi condividevano gli insegnamenti solo per via orale e segreta, per cui molto spesso si perdevano.
Per questo nella spiritualità orientale si è diffuso così tanto il concetto di puro e impuro, unito al mito della rinuncia.
La rinuncia nel Buddhismo
La seconda tradizione spirituale che parla di rinuncia è il Buddhismo, in cui viene vista come l’unica via per rompere le catene del Samsara e liberarci dalle continue tentazioni dei sensi.
Per capire come si è evoluto questo approccio, dobbiamo tornare indietro alla figura del Buddha storico, ovvero un principe che rinunciò a tutto per dedicarsi alla ricerca spirituale.
Il contesto in cui il Buddha praticò all’epoca, era esattamente quello che ho descritto prima, per cui le correnti spirituali si dividevano prevalentemente tra casta sacerdotale e praticanti ascetici.
Infatti dopo aver vissuto nel lusso come un principe e dopo aver visto i limiti della casta sacerdotale, il Buddha si dedicò a lungo a praticare in modo ascetico, in quanto era l’unica altra possibilità conosciuta all’epoca.
Eppure nel tempo vide i limiti di queste pratiche estreme e dichiarò che l’approccio migliore fosse la via di mezzo, per cui non bisognava andare troppo nella rinuncia o troppo nel piacere dei sensi, ma bisognava essere naturali nelle cose della vita.
Oggi diremmo che questo è il classico consiglio della nonna, che purtroppo in quanto esseri umani non riusciamo mai a seguire.
Per il Buddha la via di mezzo perfetta per lui era la via monastica, ma questa non era consigliata a tutti e i praticanti buddhisti potevano essere anche laici e vivere nel mondo.
Eppure, come sempre accade in questi casi, i secoli sono passati e le interpretazioni degli insegnamenti originali del Buddha sono mutate nel tempo, tanto che oggi è anche difficile dire cosa avesse detto esattamente questo personaggio straordinario all’epoca.
L’approccio monastico fu quello che si diffuse maggiormente, visto che riceveva più donazioni ed era strutturato meglio, proprio come la casta sacerdotale vedica.
Questo approccio nel Buddhismo viene chiamato anche “Hinayana” (che significa piccolo veicolo) e prevede la rinuncia delle cose materiali, per evitare di essere legati agli oggetti dei sensi e ritrovare la nostra essenza ultima di esseri viventi, liberandoci dalle catene del Samsara.
Esiste però anche un altro approccio Buddhista molto diffuso che si chiama “Mahayana” (significa grande veicolo) e che si oppone a questo primo approccio, affermando che la via per l’Illuminazione non sta nel proteggerci dagli oggetti dei sensi, ma al contrario bisogna abbracciare completamente la vita e integrarla nella propria pratica spirituale.
Perché secondo questo approccio i desideri e il piacere dei sensi non sono il problema, ma la trappola avviene quando provi attaccamento per questi desideri e questo piacere, rimanendone schiavo e facendo dipendere la tua felicità da essi.
Se invece sei in grado di godere a pieno delle cose della vita senza attaccamento e di utilizzare queste energie per la tua pratica spirituale, allora il tuo percorso diventa ancora più vasto e veloce (da qui il nome grande veicolo).
La rinuncia nel Cristianesimo
La terza e ultima tradizione spirituale che parla di rinuncia è il Cristianesimo, che ha una storia molto diversa dalle altre due che ho descritto prima.
Le radici sono sempre le stesse, ovvero nella spiritualità Sumera ed Egizia, però da lì questa tradizione si è diffusa verso occidente e ha attraversato diverse forme, come lo Gnosticismo Esseno.
In questo contesto ci fu questa persona straordinaria che chiamiamo Gesù Cristo, che influenzò completamente la spiritualità dell’epoca e gli diede una nuova direzione.
Oggi ovviamente non possiamo sapere veramente cosa questa persona pensava della rinuncia, perché le prime copie della Bibbia sono state scritte oltre tre secoli dopo, quindi l’interpretazione di questi insegnamenti era sicuramente mutata tanto.
L’unico elemento che possiamo osservare è proprio lo Gnosticismo Esseno, che è una specie di Cristianesimo delle origini, in cui in realtà il concetto di rinuncia non appare quasi mai, per cui possiamo supporre che probabilmente non faceva parte neanche degli insegnamenti di Gesù.
Però per qualche strana ragione successivamente questo concetto si diffuse enormemente, probabilmente per la specifica sensibilità dell’epoca e dei popoli in cui fiorì il Cristianesimo.
Di conseguenza nel tempo il concetto di Peccato Originale, unito a una distinzione molto marcata tra puro e impuro, è diventato uno dei punti cardine del Cristianesimo, soprattutto nel suo approccio austero e monastico legato alla penitenza.
Eppure possiamo dire che questi concetti in realtà non hanno niente di spirituale, visto che non appaiono in alcuna tradizione spirituale precedente, ma sono degenerazioni che hanno avuto soprattutto una utilità sociale nel controllare le popolazioni.
Infatti oggi quasi nessuno intende più questi concetti in modo letterale, ma vengono utilizzati come metafore nelle omelie e negli insegnamenti, visto che spesso non sono neanche più applicabili praticamente nella vita.
Desideri e Spiritualità
Queste tre tradizioni sono le uniche a includere la rinuncia nei loro insegnamenti, e persino all’interno di esse ci sono tante correnti di pensiero opposte, come ti ho condiviso prima.
Ogni altra tradizione spirituale non parla quasi mai di rinuncia in questi termini: il Taoismo cinese, la via dei Misteri Egizi, la Filosofia Greca, l’Esoterismo Occidentale e le tradizioni Sciamaniche di ogni luogo del mondo.
Questo perché la crescita spirituale non ha niente a che vedere con l’assenza di desiderio o la rinuncia, ma riguarda l’esperienza diretta di ciò che siamo veramente.
Questa esperienza è la nostra vera natura e va al di là delle nostre idee limitanti, inclusa la nostra percezione di puro o impuro.
In questa visione, praticare un poco di rinuncia può essere utile se siamo esageratamente attaccati a delle cose specifiche della nostra vita, per cui ci aiuta a riconoscere che la nostra felicità non dipende da esse, ma è qualcosa di molto più grande.
Io ho praticato la rinuncia per diversi anni della mia vita, mangiando una volta al giorno, vivendo in celibato, meditando tante ore al giorno e dedicandomi solo allo studio e alla pratica spirituale.
Questo mi ha portato tanti regali, però nel tempo mi sono accorto che diventa un grande limite, perché mi stava allontanando dalla vita e non connettendomi completamente con essa, che è il vero obiettivo di ogni percorso spirituale.
Inoltre è uno stile di vita anacronistico che oggi non è più possibile, per come funziona la nostra società e la vita moderna, che è molto più complessa rispetto a migliaia di anni fa.
Così ho capito, proprio come gli insegnamenti del Buddha e i consigli della nonna, che la via di mezzo è sempre la migliore e bisogna essere naturali nelle cose della vita, senza abusarne e senza scappare da essa.
I desideri e il piacere dei sensi in fondo sono energia, che possiamo trasformare in passione se la sappiamo utilizzare bene, per realizzare ciò che abbiamo a cuore ed essere di beneficio agli altri.
Per utilizzare bene questa energia, dobbiamo solo liberarci dell’attaccamento, ovvero dobbiamo saperne godere e lasciar andare, senza aggrapparci all’esperienza del momento e far dipendere la nostra felicità da essa.
Mi piace molto come descrive questo concetto Tilopa, grande maestro indiano del decimo secolo dopo cristo, che diceva: “Il problema non è il piacere, il problema è l’attaccamento.”
Questo è ciò che puoi realizzare con la meditazione, se sai come fare.
Nei commenti fammi sapere cosa ne pensi.
Un caro saluto e sii felice!
Letizia 8 Giugno 2022
Grazie per questo approfondimento, sono completamente d’accordo.
Da 2 anni pratico il digiuno intermittente, e sebbene mi abbia aiutato nel fisico ad alleggerire alcune patologia che si sono affacciate, si è aggravato il mio rapporto con la prosperità! Forse al corpo fa bene un po’ di “carestia” ma (alla mente & all’inconscio) all’umore e alla socialità ti garantisco.. no!
C’è un effetto psicosomatico a medio-lungo termine che non si valuta..
Questa modalità-che poi diventa di vita, non solo di alimentazione- che tua mamma sparge ai 4 venti, va bene per persone in età avanzata o con certe malattie, neanche tutte, che per un periodo hanno bisogno di misure restrittive per consentire al corpo un più naturale ripristino.
Grazie per diffondere questi messaggi. Occorre liberarsi dai dogmi delle religioni. Non è più il tempo.. 😅
Ho apprezzato! Un caro saluto
Francesco Dore 23 Dicembre 2022
Grazie, molto istruttivo. Parte dell’articolo é materia delle mie continue riflessioni, arrovellamenti, nevrosi varie, quasi quotidiane. Il mio cruccio però é cosa ne pensa Dio, qual’é la verità. I suoi messaggi e il libro da lui ispirato vanno invece in un altra direzione, purtroppo: il distacco totale dal mondo per lasciare posto a Lui nella nostra vita. Non é nichilismo, ma solo la sua gelosia. Comunque la natura ha certamente orrore del vuoto, ma questo vuoto lo riempie Dio, come asserisce in un dei suoi scritti San Giovanni della croce.